E' tempo di mettere il calcio femminile sotto i riflettori

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E' tempo di mettere il calcio femminile sotto i riflettori Il televideo alla pagina del calcio donne è fermo a "La Torres vince la Womens Cup"; sul sito della Divisione nemmeno una riga sul successo dell’Italia Under 19. I giornali nazionali dopo essere stati costretti a dare, anche con bella evidenza, la notizia ora hanno altro di cui occuparsi. A sentire le dichiarazioni di alcune delle protagoniste della vittoria di Tours si percepisce la sensazione che invece che un successo che serva a lanciare definitivamente il movimento del calcio donne in Italia la vittoria dell’Europeo abbia creato un certo “scompiglio” nella Federazione Gioco Calcio. Già, perché anche l’Italia maschile Under 19 si è arresa in finale della rassegna continentale e così dovrebbero essere proprio le ragazze di Corradini ad avere l’onore e l’onere di portare in alto il nome del calcio italiano. E questo crea sicuramente un certo imbarazzo in Federazione. Come Cenerentola che solitamente fa le pulizie ed è sottoposta alle angherie delle sorelle che è più bella e “acchiappa” di più di loro. Insopportabile. Meglio buttare via la scarpina di cristallo. Del resto dobbiamo renderci conto (ed è una conferma una volta di più) che questo è un Paese calciocratico. Governato dal calcio. Non a caso storicamente durante le grandi rassegne calcistiche internazionali, che siano Mondiali o Europei, i Governi di turno ne hanno sempre approfittato per far passare in Parlamento le leggi più scabrose e più lobbystiche. Gli italiani “devono” pensare alla rivalità tra Inter e Milan, tra Juventus e Inter, tra Milan e Roma e così via. Così quando il lunedì mattina si incontrano fra loro nelle metropolitane o sui mezzi pubblici che non funzionano o sui luoghi di lavoro si sfottono a vicenda come i polli di Renzo invece che notare che il traffico è paralizzato, che il Governo fa gli interessi di pochi o della mafia (sto parlando in genere, tanto per fare esempi astratti) e così per tutti gli altri problemi esistenti. Ecco perché non è accettabile che il calcio femminile (così come anche i cosiddetti “altri sport”) prenda piede e sia trattato con la dignità che merita. Non sia mai che l’italiano si accorga che esiste anche un altro tipo di calcio, che “apra un po’ la mente”, che esiste anche altro intorno alla propria esistenza che non i problemi di Ancelotti, di Mourino e così via. E’ questa una premessa volutamente estrema e provocatoria di cui però bisogna tenere conto per cercare nuovi e indispensabili spazi di visibilità e di crescita. La speranza è l’avvento di Giancarlo Padovan alla guida della Divisione? E sia. Le sue idee in questo primo scorcio di campagna elettorale vanno in questa direzione: sinergia con il mondo dei media e convenzioni per crescere ulteriormente dal punto di vista economico. Poi però occorrerà un ingrediente ancora più importante. La volontà da parte delle singole società di crescere. A 360 gradi. E di cambiare mentalità. Negli ultimi anni ho seguito il calcio femminile prima da semplice giornalista per radio, televisioni e giornali locali (fedele alla mia filosofia ed etica professionale che vuole, sul modello di quello che avviene in tutte le principali nazioni europee, che tutti gli sport hanno pari dignità e che il parametro per interessarsi di questa o quell’altra disciplina sia solo la serie e la categoria di militanza e che non ci sono discipline a prescindere più importanti di altre), poi anche più dall’interno, come responsabile di un ufficio stampa (esperienza che si è ormai conclusa) e mi sono fatto la precisa idea che in genere (e con le dovute eccezioni) la filosofia che impera nella maggior parte delle società è quella di curarsi il proprio orticello, in maniera prevalentemente “familiare”. Insomma, vuoi per razionale calcolo, vuoi per mancanza di capacità organizzativa (spesso con la scusa che i fondi economici sono limitati), vuoi perché vige la filosofia del “decide chi porta i soldi in società” la tendenza è quella di affidare le strutture societarie a poche o pochissime persone (talvolta troviamo anche un presidente factotum). Poi magari si spiega alla “dirigenza” in riunioni affollatissime “quello che ha deciso il Consiglio” (decisioni già prese, che gli altri, spesso genitori un po’ più attivi di alcune ragazze, devono solo ratificare e accettare così come sono). Dotarsi di una struttura dove a ognuno è delegato un compito? Impossibile. Il famoso “Consiglio” deve avere voce in capitolo su tutto, ha il diritto e il dovere di interferire su qualsiasi aspetto o questione, anche quelle che dovrebbero spettare per competenza ad altri. E questo lo si può fare a maggior ragione perché è lo stesso movimento tutto del calcio femminile ad avere scarsa visibilità. A navigare nell’ombra. Appunto, nell’ombra gli occhi esterni vedono poco. Un esempio banale? Se Corvino prova a vendere Mutu senza l’avallo dell’allenatore Prandelli se ne occupano i network nazionali; se a una ragazza di una squadra di serie A viene detto di trovarsi un’altra squadra dopo che le era già stata promessa la riconferma chi lo viene a sapere? Le atlete sono alla mercè delle dirigenze. O bere o affogare. Molte società (e non parlo di quelle organizzate) a volte magari (parlo sempre in genere e senza riferimenti a realtà specifiche) si dotano di un ufficio stampa che “butti fuori” le “veline” partorite dalla dirigenza: qualche giornale compiacente (una cena a un caporedattore costa poco ed è anche fatturabile) le pubblica, senza chiedersi e senza verificare niente (talvolta anche i nomi sbagliati nel comunicato stampa vanno pari pari sbagliati sul giornale). E la verità è sempre sommersa. Lì per lì si è contenti, si fa contento lo sponsor che vede il suo nome sul giornale, ma intanto il movimento non cresce. Perché non c’è un vero coinvolgimento dell’ambiente, media compresi. Fino a quando questi ed altri comportamenti staranno bene ai dirigenti che dovranno governare il calcio femminile per il prossimo quadriennio? Lo vogliamo fare il salto di qualità? Bisogna però avere tutti il coraggio di cambiare mentalità. Bisogna che siano accesi i riflettori sul calcio femminile. Spero che le cose cambino. Intanto vedo che in serie A e A2 sempre più squadre “puntano sulle giovani” (che spesso è un modo più elegante per dire “non abbiamo o non vogliamo tirare più fuori i soldi per le giocatrici più brave” e magari più di personalità, quelle che hanno da dire la loro su comportamenti sbagliati o scorretti delle società o, talvolta, sulle negligenze e omissioni economiche); vedo anche che in serie B si farà addirittura un girone in meno perché tante squadre hanno rinunciato, e ripescarne altre dalla serie C sarebbe stato effettivamente e francamente ridicolo. Parlando una volta con il direttore di un giornale nazionale per spiegargli l’importanza di una notizia che volevo convincerlo a pubblicare mi rispose: “Carlo, il calcio femminile è un mondino, lascia perdere, non mi interessa”. Una risposta che mi amareggiò molto. Per un paio di anni non sono riuscito a farmene una ragione e mi sono interrogato sui motivi di quella risposta. Ora credo di averli trovati. Ma spero che nessuno in futuro si senta più in diritto di darla. Spero che ci sia una presa di coscienza collettiva, che il movimento, sfruttando magari l’Eurosuccesso, prenda coscienza dei limiti attuali e faccia uno scatto d’orgoglio. Sono un utopista? Se lo sono credo però di essere in numerosa compagnia. Carlo Carotenuto giornalista Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. www.carlocarotenuto.it