Sabato, 25 Maggio 2024
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Calcio e lavoro a braccetto. Valentina: «Passione, organizzazione e sacrificio»

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mozzecane sossella
La sveglia suona alle 7:15, dal lunedì al venerdì. Otto ore in ufficio immersa in spedizioni, telefonate e fatture, poi di corsa al campo di San Zeno di Mozzecane per l’allenamento serale. «Calcio e professione? Sì, vanno d’accordo». Difensore della Fortitudo da quattro stagioni, impiegata in un’azienda di Cadidavid, «che si occupa di automazione industriale, prodotti industriali e software», dal 2014. Valentina Sossella è sempre in movimento, divisa tra l’amore per il pallone e il lavoro. «Conciliare i due mondi è un sacrificio non da poco. Servono tanta passione e una buona organizzazione». E lei, a 21 anni, ha trovato la ricetta giusta.
Alla Fortitudo c’è chi va a scuola e all’Università, chi lavora part-time e chi sta cercando un’occupazione. Sossella è l’unica a lavorare a tempo pieno.

«La mia è una situazione un po’ particolare: andare all’allenamento dopo aver terminato un’intera giornata in ufficio è abbastanza impegnativo. In ogni caso, avendo una squadra davvero giovane (19,9 anni di media, ndr), è normale che molte di noi vadano ancora a scuola. Altre, invece, hanno fatto scelte diverse dalle mie, proseguendo gli studi e frequentando appunto l’Università: io ho colto al volo un’occasione che mi si era presentata e ho cominciato a lavorare, dove sono tuttora, pochi mesi dopo l’esame di maturità».

Quali compiti svolge in ufficio?
«In primis gestisco l’evasione degli ordini: prendo i prodotti ordinati, li impacchetto e preparo i relativi documenti. Inoltre, mi occupo di una parte della fatturazione e di cose più basilari come rispondere al telefono, rispondere alle e-mail e rapportarsi con i clienti che vengono a comprare direttamente in azienda».

Conciliare calcio e lavoro che sacrifici comporta?
«Il principale è rinunciare ad uscire con gli amici, andare a cena fuori o organizzare un semplice aperitivo. In più, il sabato sera so di non dover rientrare troppo tardi perché il giorno seguente c’è la partita di campionato. Ho poco tempo libero, insomma, e sono sempre “occupata” a livello mentale: fatico a staccare la spina e a rilassarmi del tutto».

Ha allenamento il martedì, il giovedì e il venerdì. Le sue giornate tipo?
«Lavoro dalle 8:30 alle 12:30 e, una volta finita la mattinata, torno a casa (Valentina abita a San Giovanni Lupatoto, ndr) per la pausa pranzo. Poi sono di nuovo in ufficio dalle 14 alle 18, minuto più minuto meno, dopodiché vado al campo. E, alla sera, rientro esausta verso le 23, a meno che non ci siano cene di squadra, e vado subito a letto».

In qualche occasione ha dovuto mettere da parte il calcio per il lavoro o viceversa?
«Per fortuna gli orari mi danno una mano e gli impegni non si sovrappongono: non ho mai rinunciato a una partita e, per quanto riguarda gli allenamenti, di solito ho il tempo di arrivare a Mozzecane con calma; invece, se termino di lavorare un po’ più tardi, devo sbrigarmi. I problemi, al contrario, nascono quando le sedute settimanali vengono organizzate al pomeriggio ma faccio comunque il possibile per non saltarle: mi ricordo di essere mancata, nel 2015, all’allenamento del 23 dicembre perché era stato anticipato al pomeriggio, visto che alla sera era in programma la cena di Natale della società, mentre a gennaio sono riuscita a giocare l’amichevole contro il Brescia (ore 14.30, ndr) grazie ad un permesso. Dall’altra parte, a volte non mi fermo in ufficio oltre l’orario stabilito, nonostante ci sia bisogno, per poter arrivare puntuale al campo».

Tarda mai agli allenamenti?
«Amo la puntualità, quindi accade raramente. E, se succede, è questione di una decina di minuti. In auto mi occorre mezz’ora per recarmi a Mozzecane, traffico permettendo».

Cosa significano per lei la professione e il calcio?
«Il lavoro rappresenta un salto di maturità e, sebbene viva con i miei genitori e non abbia particolari preoccupazioni economiche, mi ha permesso di acquisire un’indipendenza caratteriale e mi ha insegnato a responsabilizzarmi a 360 gradi, dal rapporto con gli altri al capire l’importanza di costruirsi un futuro. Il pallone? È la mia grande passione, un amore incondizionato e la cosa che mi diverte di più. Valentina calciatrice? Non mi soddisfa del tutto: sono davvero autocritica e spesso non mi piacciono le mie prestazioni. So di dover crescere ancora in tanti aspetti e desidero migliorare».

Quando è in ufficio pensa al calcio?
«Sì. Per esempio, mi capita di meditare sulla partita della domenica o su un allenamento in cui è successo qualcosa di diverso dal solito, tipo una discussione, o dove ho faticato di più. In ogni caso, queste riflessioni non mi deconcentrano dal lavoro».

E, al contrario, in campo pensa al lavoro?
«Tendenzialmente no. Quando gioco sono concentrata al 100% sull’allenamento o sulla gara. Mi viene spontaneo».

Il risultato di un match di campionato influisce sull’umore del lunedì in ufficio?
«Un po’ sì. Se perdiamo sono più nervosa e rimugino sugli errori che posso aver commesso, mentre se vinciamo mi sento serena e contenta».

Una preoccupazione lavorativa incide sul suo rendimento con la Fortitudo?
«Un pensiero no, la stanchezza sì. Negli allenamenti la fatica accumulata durante la giornata può venire fuori e, in quei casi, ne risento fisicamente».

Il binomio professione-calcio cosa insegna?
«Intanto a tenere separati il lavoro, lo sport e la vita privata, e a concentrarsi appieno su ciò che stai facendo. Inoltre, sapendo di avere i tempi stretti, bisogna imparare ad organizzarsi: il lunedì e il mercoledì, quando non ho allenamento, cerco infatti di rimanere di più in ufficio per portarmi avanti. Negli ultimi tre anni, giocando e lavorando, penso di essere cresciuta molto come persona».

Cosa fa il sabato, nel suo giorno libero?
«Se ho la possibilità, alla mattina dormo. Poi preparo il pranzo per la famiglia, visto che i miei genitori lavorano, e al pomeriggio vado quasi sempre a vedere una partita di calcio femminile o maschile: un sabato pomeriggio senza calcio non lo concepisco (sorride, ndr). Il sabato sera, invece, lo trascorro con gli amici, a cena o al cinema, e rientro entro mezzanotte».

La borsa da calcio ce l’ha sempre dietro?
«No. Di solito, uscita dall’ufficio, passo da casa, la preparo al momento e vado al campo. Al contrario, se so già di avere qualche impegno particolare al lavoro, carico la borsa in auto alla mattina, o in pausa pranzo, così sono già pronta per andare a Mozzecane».

Come si regola per la cena?
«Quando ho tempo, torno a casa e il menù prevede pastasciutta in bianco o bresaola. Altrimenti, se devo fare tutto di corsa, mi limito a un pacchetto di cracker o a un panino con il prosciutto crudo mangiato per strada. E nel caso in cui non avessi proprio l’opportunità di cenare, appena rientrata dall’allenamento prendo un frutto o uno yoghurt, solitamente nella bella stagione, oppure, d’inverno, una tazza di the con i biscotti».

Allenarsi alla sera, dopo otto ore in ufficio, quanto è faticoso?
«Dipende dalla giornata: a volte la stanchezza è maggiore, in altre è minore. Il calcio, però, lo considero una vera valvola di sfogo, che mi aiuta a scaricare le tensioni e a divertirmi. Se potessi scegliere, preferirei allenarmi al pomeriggio, pensando anche al freddo che c’è d’inverno, ma, considerato il mio stile di vita, sono contenta così».

I colleghi di lavoro sanno che gioca a pallone?
«Certo. Alcuni colleghi, compresi i miei capi, si informano leggendo il giornale, mi chiedono come vadano le partite e mi prendono in giro scherzosamente quando la Fortitudo perde. Il loro interessamento mi fa piacere e, in generale, sono contenta quando in ufficio parliamo di calcio. È uno dei miei argomenti preferiti (sorride, ndr)».

È più facile andare d’accordo con le compagne di club o con i colleghi di lavoro?
«Con questi ultimi. Essendo l’ufficio formato per la maggior parte da uomini, per una donna è più semplice trovare un’intesa, e il fatto di starci insieme otto ore al giorno offre la possibilità di conoscerli meglio e creare maggiore confidenza. In ogni caso, tengo a precisare che ho un ottimo rapporto pure con l’unica collega che ho. Per quanto riguarda la squadra, comunque, sto bene e con le mie compagne vado d’accordo: con alcune ho legato di più e con altre di meno, come è normale che sia».

Valentina in campo e Valentina in ufficio sono la stessa persona?
«A livello di impegno e di concentrazione, sì. Tuttavia, quando gioco, mostro il lato più grintoso e aggressivo del mio carattere, lato che al lavoro chiaramente non esce: in campo sono più istintiva, in ufficio più pacata e tranquilla».

Al lavoro svolge diverse mansioni, alla Fortitudo può ricoprire più ruoli in difesa. Le piace essere duttile?
«Tantissimo. È uno degli aspetti che preferisco di me stessa. Sono nata difensore centrale, anni fa mi hanno schierata anche vertice basso del centrocampo e da due stagioni faccio l’esterno basso. Nella vita è importante essere duttili, soprattutto a livello lavorativo, ed essere aperti mentalmente: in tal modo impari a confrontarti sempre con cose nuove e ad accumulare esperienza».

Da quando fa l’impiegata ha mai preso in considerazione l’ipotesi di appendere le scarpette al chiodo?
«Non in modo serio. Ci sono stati momenti, dopo certe arrabbiature o periodi di particolare stress al campo, in cui l’idea mi è passata per la testa, ma alla fine la passione ha sempre vinto. Fare sacrifici, invece, non l’ho mai avvertito come un problema».

Lavoro e calcio le danno una stabilità economica?
«Sì, però non così solida da pensare di andare a vivere da sola. Oppure, potrei provare ma dovrei stare attenta ad ogni centesimo che spenderei. Un giorno desidero avere un’indipendenza a 360 gradi: stare per conto proprio rappresenta un ulteriore salto di qualità e insegna a cavarsela in maniera autonoma».

La famiglia la sostiene?
«Sempre. I miei genitori sono le persone più importanti della mia vita e un punto di riferimento fondamentale: mi ascoltano, mi aiutano, e quando devo prendere una decisione chiedo consiglio a loro. Mio padre mi è più vicino nello sport, mia madre negli aspetti quotidiani».

La disoccupazione in Italia cresce di giorno in giorno. Lei si sente fortunata?
«Molto. Tanti miei amici e conoscenti cercano lavoro e non lo trovano, oppure riescono a racimolare un’occupazione part-time, pertanto mi sento privilegiata ad avere un posto stabile. Non solo: mi piace l’ambiente in cui lavoro, con i colleghi ho un buon rapporto e la professione che svolgo mi soddisfa. Sono infatti una persona dinamica e per fortuna sono sempre in movimento tra preparare pacchi, stare in magazzino, rispondere al telefono e lavorare al computer».

Vede il pallone nel suo futuro?
«Finché sarà possibile, il calcio farà parte della mia vita. Dopodiché, se subentrerà un progetto più profondo, per cui sarò costretta a scegliere, vi rinuncerò: i miei desideri più grandi sono diventare madre e formare una famiglia ma, anche quando questo accadrà, il pallone avrà sempre un posto speciale nel mio cuore».

E se il calcio diventasse una vera professione?
«Me lo sono domandato parecchie volte. Se il calcio femminile in Italia crescesse a tal punto da dare un’indipendenza economica alle giocatrici e mi capitasse una bella occasione, l’idea mi affascinerebbe e mi entusiasmerebbe. D’altronde, chi non vorrebbe vivere della propria passione? Tuttavia, per la vita e la stabilità che ho adesso, non so se rinuncerei al lavoro per un’eventuale carriera calcistica professionistica».

La sua prima stagione alla Fortitudo Mozzecane (2013/14) è coincisa con l’ultimo anno di scuola all’Istituto tecnico commerciale Lorgna-Pindemonte. Avendo provato entrambe le situazioni, è più complicato lavorare e giocare o studiare e giocare?
«Lavorare e giocare, senza dubbio. Studiare è sicuramente impegnativo e difficile però dà l’opportunità di gestirsi meglio: a scuola puoi anche avere tante verifiche e interrogazioni concentrate in una settimana ma, preparandoti per tempo, riesci ad affrontarli bene. Inoltre, se in un pomeriggio hai meno voglia di applicarti, puoi scegliere di studiare il giorno seguente. Al contrario, il lavoro ti porta a stare otto ore in ufficio dal lunedì al venerdì, hai poche pause, un tot di cose da fare obbligatoriamente e tempi da rispettare. Altrimenti, a rimetterci, è l’azienda».

Matteo Sambugaro

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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Firenze il 15 settembre 2016  n. 6032.
Direttore Walter Pettinati - PROMOITALIA Editore.

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