Domenica, 05 Maggio 2024
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Carolina Paolo, l’insegnante con il calcio nel cuore

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salento carolina paolo
Una laurea in lettere moderne, la passione per il calcio e il sogno di diventare anche una giornalista sportiva. Carolina Paolo è una delle numerose ragazze in Italia che ama correre dietro il pallone; ha dovuto momentaneamente “appendere le scarpette al chiodo” perché, come ripete più volte durante l’intervista, «per le ragazze, purtroppo, non esiste solo lo sport». Il calcio, nonostante i sacrifici e i duri allenamenti, non è fonte di guadagno, ma solo di divertimento, di gioie condivise con compagne di squadra, «che a volte si trasformano in vere e proprie amiche» per la calciatrice salentina.


Carolina, laureatasi ad aprile 2016 presso l’Università degli Studi del Salento, a novembre è costretta a trasferirsi in Lombardia, in provincia di Monza, per costruire il suo futuro, dare un senso agli anni trascorsi a studiare e avviare la sua carriera da insegnante. Il calcio?
I troppi impegni e la vita stravolta non le hanno permesso di coordinare le due passioni, ma i pantaloncini e le scarpette Carolina li ha portati con sé nella valigia, conservando l’amore per questo sport, la continua voglia di allenarsi e di giocare come difensore centrale. Durante il periodo natalizio, tornata in Puglia per trascorrere le feste in famiglia, non ha esitato a rimettere piede sul campo per allenarsi con le sue (ex) compagne di squadra e giura che approfitterà anche delle festività pasquali per correre ancora dietro il pallone.

Come ti sei avvicinata al calcio? Come è nata la tua passione?
Sono la più piccola di tre fratelli, ma sono l’unica in famiglia a giocare, o almeno è quello che ho fatto fino allo scorso novembre, quando per lavoro mi sono dovuta trasferire. Non so dire come sia nato il mio amore per il calcio. In realtà, ho sempre amato lo sport in generale: correvo, partecipavo a maratone. Forse, mi sono avvicinata al calcio perché ho sempre avuto amici maschi, soprattutto quando ero bambina, e questa vicinanza mi ha portata a giocare con loro. Naturalmente ero l’unica ragazza.

Quali sono le principali tappe della tua carriera da calciatrice?
All’inizio giocavo con i ragazzi. Sono vissuta in un piccolo paese in cui non è mai stata data attenzione al calcio femminile perché le ragazze, solitamente, si dedicano ad altri sport. In un secondo momento ho deciso di frequentare una scuola calcio, dopo le sollecitazioni di un amico, ma mi sono allenata lì solo per qualche giorno; ho ricominciato a giocare i primi anni di università, quando mi sono rivolta a una squadra professionista, la Salento Woman Soccer: all’inizio ero con la primavera, ma già nello stesso anno mi hanno inserita nella prima squadra. Era il 2007.

Cosa significa per te giocare a calcio?
Non essere più su un prato verde la domenica mi ha aiutato a capire cosa significhi questo sport per me. Mi è bastato leggere il racconto di un mio alunno che sogna di diventare un calciatore professionista per emozionarmi. Lividi e fatica mi hanno insegnato a crescere e ho imparato a rialzarmi più forte di prima; ho capito quanto sia importante aspettare a testa bassa e sfruttare il momento giusto per rialzarsi. Per me il calcio è stato una lezione di vita, mi ha permesso di diventare una persona migliore. Il calcio per me è vita!

Quali sono gli aspetti positivi di questo ambiente?
La squadra è una seconda famiglia. Nell’ambiente femminile ogni partita deve essere vinta per una questione di onore, di orgoglio. Quello che alimenta le ragazze è solo la passione: non ci sono altri tipi di interessi perché questo è un ambiente in cui non c’è denaro; giochiamo senza ricevere nulla in cambio, a parte i lividi, e questo rende l’ambiente puro e sano.

Cosa non funziona nel calcio femminile?
Al calcio femminile manca la visibilità e questa mancanza determina anche assenza di denaro e poca crescita. Le donne non sono seguite e sono ritenute poco credibili. Nessuno segue i nostri allenamenti e nessuno si accorge dei nostri sacrifici; per noi non esiste solo il calcio. Molte ragazze chiedono permessi a lavoro per giocare in una partita importante la domenica e per questo, quando sento fare dei commenti inopportuni, mi infastidisco. Il calcio femminile è un’isola deserta: non si tratta di egocentrismo, ma basterebbe solo che qualcuno riconoscesse i sacrifici fatti. Una bella vittoria o un bel goal restano solo nella memoria e questo è davvero ingiusto. A mio parere, in Italia, ci sono tante ragazze che potrebbero giocare in campionati superiori, con opportunità differenti.

Cosa bisognerebbe fare per provare a migliorare?
Dare più visibilità. Gli sponsor pensano non valga la pena investire in una squadra femminile, quindi la rivoluzione dovrebbe partire dall’alto. Si potrebbero obbligare tutte le società maschili ad avere un settore femminile, cosa che sta pian piano avvenendo, o far giocare le ragazze prima o dopo una partita degli uomini, nello stesso stadio. Quest’ultima soluzione potrebbe aiutare in termini di visibilità: si tratterebbe di un investimento minimo che, a mio parere, permetterebbe di realizzare grandi cose.

Carolina ormai è solo un’insegnate o si tratta solo di una pausa?
I troppi impegni non mi hanno permesso di poter giocare e così mi sono iscritta in palestra per sopperire alla mancanza dei campi da calcio. Scarpe e divisa, però, mi aspettano.

Veronica Fumarola

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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Firenze il 15 settembre 2016  n. 6032.
Direttore Walter Pettinati - PROMOITALIA Editore.

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